L'arte
parlata, scritta, non vista. In una parola, lontana e
per questo incapace di produrre emozioni. E' uno dei tanti
limiti del nostro tempo accelerato.
Ora facciamo tutto di corsa. Spesso siamo costretti ad
accontentarci di film visti in Tv anzichè al cinema:
della foto di un quadro anzichè della visita in
un museo. Per l'essenza dell'arte è come dire che
possiamo sfarmci con l'immagine del pane.
Guardare un dipinto da vicino è l'unico nutrimento
vero che l'arte può offrire. Purtroppo i ritmi
veloci che abbiamo imposto alla nostra esistenza sembrano
proprio i meno indicati per chi tenta di trovare spazi
da riservare all'arte osservata in silnezio, senza mediazioni.
Di fronte a noi, c'è un bivio: da una parte la
discesa verso al visione raccontanta o teleguidata: dall'altra
la strada più faticosa e costosa, che conduce direttamente
ai luoghi dell'arte, spesso molto lontani, risptto ai
posti in cui viviamo. accade in generale, anche nei grandi
centri.
Allora, davanti all'iniziativa di Banari viene subito
da chiedersi: perchè mai, se la situazione è
questa, un piccolo paese di settecento abitanti dovrebbe
avere vita più agevole?
Nessuna ragione economica sembra favorire la sfida rinnovata
che parte da Banari, grazie a Giuseppe Carta e alla Fondazione
Logudoro Mejlogu che, nell'esposizione permanente, annovera
lavori dei principali protagonisti dell'arte sarda contemporanea
come Antonio Atza, Liliana Cano, Pietro Mele, Antonio
Corriga, Manlio Masu e Pinuccio Sciola, cui si aggiungono
i grandi nomi della pittura e della scultura nazionale
come Aligi Sassu, Arnaldo Pomodoro, Concetto Pozzati,
Lele Luzzati, Emilio Tadini e Francesco Messina.
Con le ultime acquisizioni di artisi del piomo Novecento,
tra i quali Giuseppe Altana, Antonio Ballero, Filippo
Figari, Giovanni Maria Mossa, Pietro Antonio Manca, Mario
Sironi, Salvatore Fancello e Francesco D'Aspro, il nuovo
museo potrà esporre in totale, tra pittura e scultura,
oltre 400 opere di grande qualità. Forse ancora
poche se il paragone si fa con le grandi istituzioni metropolitane.
Sono però tantissime per Banari e per la sua Fondazione
che, oltre la ragione, non smette di credere nel ruolo
dell'arte come strumento per la crescita culturale della
comuntià all'intero territorio.
L'arte senza aggettivi, senza vincoli localistici, senza
scelte obbligate, come l'avanguardia o il folklore a tutti
i costi. L'arte vicina è possibile, anche in periferia.
La scommessa, o la sfida, di questo nuovo passo potrà
sembrare eccessiva, quasi temeraria ma quanto è
accaduto negli ultimi anni a Banari, il paese della trachite
rossa, "sanguigna" come dicono da queste parti,
invita a crederci.
Il coraggioso tentativo della Fondazione Logudoro Mejlogu
indica un preciso traguardo: guardare lontano, continuando
a tenere i piedi ben piantati per terra, non è
chimera. E' il più consigliabile realismo, modello
di sviluppo possibile da difendere e da sostenere senza
tentennamenti. Gli incoraggiamenti sono arrivati numerosi
e autorevoli. Anche le risposte sono state inequivocabili,
quasi sorprendenti.
Quando un luogo così distante dalle strade maestre
del turismo e dell'economia, lontano dai palazzi consueti
delegati all'arte, riesce a richiamare in piena estate
migliaia di visitatori, come è accaduto per i Macchioli
2005 e nel 2006, per la prima antologica, dopo la sua
morte, di Salvatore Fiume, sarà follia continuare
a guardare avanti?
La fiducia e la stima di grandi artisti, sardi ma anche
della Penisola, grazie ai quali la Fondazione ha potuto
arrichire il suo patrimonio, non sono soltanto un semple
incoraggiamento, un affettuoso invito ad andare avanti.
Sono diventate un dovere.
La sfida non è più una sfida fine a se stessa,
frutto del capriccio di un artista solitario e basta.
Diventa un ambizioso progetto che ha l'obiettivo di tenere
insieme bisogni sempre più forti e radicati in
ognuno di noi, come l'identità e la cultura in
periferia. Ecco il grande messaggio che parte da Banari,
rivolto a tutta la Sardegna. Questa è l'energia
nascosta che muove i fili della passion di un artista
come Giuseppe Carta che ha fatto del suo eremo, nel paese
dell'infanzia vissuto come luogo dell'anima, un punto
di riferimento regionale per quanti amano il mondo della
pittura. Il percorso non è stato facile, c'è
ancora molto da fare ma il traguardo è a portata
di mano; il sogno, ormai, è quasi realtà.
A che serve l'arte? E' una domanda che si ripete da sempre.
A nulla si potrebbe dire. Che bisogno c'è di arte
per veivere serenamente? Per avere una risposta basterebbe
osservare le code permanenti ai Musei Vaticani, agli Uffizi:
quelle per le mostre di Van Gogh o di Caravaggio, solo
per citare alcuni esempi.
L'uomo ha bisogno di conoscere e di capire: il sapere
è la molla che da sempre muove l'umanità.
L'arte non produce pane, si dice; ma è in grado
di offrire ricchezza: nessuno può sopportare, anche
solo per un istante, l'idea di una società senza
il diritto alla crescita culturale che, a volte passa
anche attraverso una grande mostra accessibile a tutti,
senza dover andare, ad ogni costo, a Roma o ad Amsterdam,
o per restare in Sardegna, alla Pinacoteca di Cagliari
o al Man di Nuoro.
L'arte vicina, quella che propone un piccolo centro di
periferia, è possibile; diventa perfino strumento
per combattere l'importante battaglia contro l'solamento
e l'abbandono cui sembrano, inesorabilmente, destinati
i nostro paesi dall'interno.
Tonino
Oppes
Dal
catalogo Museo d'Arte Contemporanea FLM
NUOVE ACQUISIZIONI