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Per Giorgio de Chirico, bisogna scoprire "il demone
in ogni cosa". E la pittura è lo strumento privilegiato
per tentare di penetrare questa "realtà seconda",
enigmatica e oscura, metafisica, che sta dietro "il
senso apparente delle cose".
Nelle sue nature morte, Giuseppe Carta è capace di
questo: materializzare l'anima insospettabile e occulta
degli oggetti. Siano essi bicchieri o porcellane, libri
o vasi terracotta, cipolle o simulacri di civette. Oggetti
di forte potere evocativo e simbolico, distribuiti su tavole
senza commensali, dentro cucine deserte o all'interno di
stanze abbandonate, dove il baluginare di una lama di luce
fende la penombra e sorprende nel silenzio polvere e fantasmi.
Con la pazienza di un primitivo fiammingo e pennelli da
miniaturista, Carta riproduce l'invisibile. |
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Dipinge la luce che guizza sulle forme snelle delle botiglie
o indugia su quelle panciute delle anfore, la luce che scivola
o si rapprende sulla materio ora levigata ora apsra, la
luce catturata e fantumata dagli intrecci dei cestini di
vimini. E poi dipinge la natura musicale del colore.
Per lui (dieci anni di conservatorio, organista di chiesa
e un amore trascinante per gli strumenti) la musica e l'altra
faccia della pittura. Le nature morte di frutta intitolate
Mozarniane sono la trascizione visiva dell'ordine ritmico
delle sonate di Mozart e le sontuose costruzioni di bicchieri
alludono alla musicalità della glass harmonica, un
antico strumento costituito da coppe di vetro di dimensioni
variabili che vanta nella sua tradizione anche alcuni lavori
di Mozart.
In queste ineffabili sinfonie d'aria e di luce c'è
un dialogo serrato con l'ombra, simbolo del mistero della
vita, ma anche, secondo Carta, di verità: "l'ombra,
seppur pregna di sfumature cromatiche, non mente perchè
si staglia netta e non maschera; definisce ogni cosa com'è
nella sua essenza", dice. Per arrivare all'essenza,
Carta ha interiorrizato la visione eliminando progressivamente
ogni distrazione dell'occhio. Ha ridotto il colore arrivando,
in un lungo processo di sottrazione, a una tavolazza essenziale
fino quasi al mocromo.
Il principio, confessa, è quello di maestri impressionisti,
nei cui dipinti esiste un colore dominante che dà
il tono all'intera composizione. Nelle sue nature morte
questo colore si declina in una molteplictà senza
fine di sfumature, ombreggiature, evanescenze sonore. Ancora
musica. E ancora Mozart.
Sono infatti le note dell'amaissmo Mozart a romper il silenzio
dell'antico studio di pietra dove nascno le incantate composizioni
di Carta.
Qui l'artista sceglie gli oggetti, li accosta, li allontana,
li avvicina ancora per creare, "con tensione incredibile",
il modello delle sue studiatissime acrhitetture, dove tutto
è necessario e nulla casuale. Carta insegue gli accostamenti
inattesi, le parentele insospettabili, le affinità
elettive e le alchimie che sprigionano tra le cose e le
fanno vibrare di fremiti sopiti ed emozioni segrete.
Queste cosono investite da una luce magice e inesorabile,
che le immerge in un'atmosfera di sospensione fatale, di
magnetico, irresistibile sortilegio.
E' un'atmosfera che assume il carattere incantato e teatrale
di una rivelazione, di un momento iripetibile e pieno di
suspense in cui sembra che le cose siano pronte a rivelare
il loro segreto.
Queste architetture di oggetti esprimono le stesse senzaioni
di immobilità, solitudine e insobdabile vastità
delle architteure di piazza di de Chirico, entrambe capaci
di provocare il brivido sottile dei sensi e dell'intelletto
di fronte all'ignoto. |